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PUCCINI E LA FANCIULLA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 2 gennaio 2009
 
di Paolo Benvenuti, con Riccardo Moretti, Tania Squillarlo, Giovanna Daddi, Debora Mattiello, Federica Chezzi (Italia, 2008)
 
Non è tanto un film sull'autore di Tosca o di La fanciulla del West, anche se l'azione si svolge in parallelo alla nascita di quest'ultima opera, se il protagonista Riccardo è un vero musicista, se l'ambiente meraviglioso che fa da sfondo è quello autentico di Torre del Lago. Anche se, e soprattutto, Paolo Benvenuti ha sempre tratto il suo cinema unico, prezioso e stellare (e proprio per questo immancabilmente ai margini della distribuzione più volgare) da fatti storici e sociali assolutamente accertati. Animati, grazie al rigore e all'energia che nascono da una visione estetica dall'esigenza rara, da una volontà di denuncia che riesce miracolosamente a fondere l'impegno umanistico all'emozione che ne decuplica l'effetto della poesia.

Ecco che allora PUCCINI E LA FANCIULLA è la storia della servetta di casa, Dora Manfredi; pura, dedita, affezionata fino al sacrificio di sé stessa, suicida per non aver sopportato le calunnie di chi le sta attorno, dalla propria famiglia che la rinchiude nella cascina sulle palafitte, al curato che le rifiuta davanti a tutti la comunione, dai sospetti infondati e dagli intrighi interessati delle donne di casa Puccini. Vittima di una clamorosa discriminazione sociale ed economica; come, anche se più inconsciamente, dell'egoismo dell'Artista, pronto a contrabbandare nel silenzio della propria coscienza quella Passione (per l'assoluto, ma anche più prosaicamente per la grazia femminile) che sarebbe indispensabile all'alimentazione del proprio genio.

Il connubio fra l'impegno dell'uomo e l'invenzione dell'artista che affiorano dalla bellezza sublime che fa da sfondo a PUCCINI E LA FANCIULLA non è nuovo nell'opera discreta quanto scandalosamente emarginata di Benvenuti. Così che la piccola Dora, vittima dell'alta borghesia d'inizio Novecento, rimanda ad altre indicibili crudeltà di chi detiene i poteri più o meno occulti, la strega messa a morte nel bellissimo GOSTANZA DA LIBBIANO, la tortura agli ebrei per estorcerne la conversione in CONFORTORIO, la strage di Portella della Ginestra nell'ottica della CIA e del Vaticano in SEGRETI DI STATO.

Tra i canneti del lago di Massaciuccoli e i dipinti dei macchiaioli che ornano lo sfarzo già decaduto della villa, il regista organizza magistralmente il proprio spazio cinematografico: Bugatti, calessi e sussurri di velette da un lato; lavandaie ammutolite sugli argini e balli popolari nella balera dall'altro della torre di osservazione. Quasi muto, con l'ausilio prepotente delle musiche, della forza invasiva dei suoni d'ambiente, della lettura di qualche missiva, dei soprassalti drammatici o lirici che nascono dalla scelta delle luci e dei colori, nell'esplosione in ogni singola inquadratura, delle psicologie dei personaggi o delle situazioni (quella partenza sconsolata e sublime della giovane nella trasparenza dello scialle, come sospesa sulla barca che la conduce alla propria fine), il film non è mai uno sterile esercizio di stile. Piuttosto un rimando a un cinema ormai dimenticato nel quale l'uso di un linguaggio specifico custodisce il segreto di ogni emozione.


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